“Tutte le opere” di Giacomo Leopardi Rizzoli, Vol.1, 1940 | Vol. 2, 1945

Si tratta dei primi due volumi di Tutte le Opere di Giacomo Leopardi, Arnoldo Mondadori Editore. Il primo edito nel 1940 contiene “I canti” e “Le Operette Morali”, mentre il secondo del 1945 “Pensieri, Discorsi e Saggi”.

“La vita agra” di Luciano Bianciardi, Mondadori, 1962

Questa bellissima copia de “La vita agra” di Luciano Bianciardi, in una terza ristampa nel dicembre del 1962, è stata adagiata 60 anni fa sotto un albero l’albero di Natale:“Alla mamma delle mie carissime bambine” recita la dedica. Il romanzo-capolavoro, che denuncia con sagacia le conseguenze del boom economico sulla società italiana, suggellò il successo di Bianciardi scrittore che in poche settimane vendette più di 5000 copie.

“Il giardino dell’Eden” di Ernest Hemingway, Mondadori, 1987

"Il giardino dell’Eden” di Ernest Hemingway, Arnoldo Mondadori Editore, in una prima edizione del 1987dal peso inestimabile, sulla nostra bilancia pesa “solo” 500 grammi. Cosa significa? Che puoi acquistarlo a €5 regalandoti la storia di David Bourne e sua moglie Catherine e della loro luna di miele che prende una svolta inaspettata. Il libro è stato pubblicato postumo, Hemingway lavorò alla stesura del romanzo per quindici anni senza però vederne mai la luce.

“Peggio di un bastardo” di Charles Mingus – Recensione di Alessio Scialò

Sarà un vizio o sarà un caso, più probabilmente penso invece sia una scelta precisa essendo anche io un musicista, che anche il secondo libro che suggerisco e propongo ai lettori della Libreria Eli sia un testo scritto da un celebre compositore e musicista afroamericano, nello specifico maestro del contrabbasso, di nome Charles Mingus. Protagonista assoluta della scena musicale internazionale accanto ad artisti del calibro di Charlie Parker, Dizzy Gillespie e Miles Davis, Charles Mingus diede vita ad un proprio stile originale che seppe fondere in modo mirabile la tradizione dello swing con il blues, il gospel e la musica classica europea. Più che un semplice musicista Charles Mingus fu un personaggio pubblico anticonvenzionale ed eccentrico come lo erano molti esponenti della generazione Beat che caratterizzò il secondo dopoguerra negli Stati Uniti d’America. “Peggio di un bastardo” è una sorta di autobiografia e allo stesso tempo un romanzo, unica opera letteraria di Mingus che da molti è stata definita il suo testamento artistico e su questo non si può che essere d’accordo. Una scrittura potente e in alcuni passi drammatica, un libro che non può mancare nella personale libreria di ogni cultore ed appassionato della storia del jazz e della musica. Rilevante è poi in appendice al Romanzo la presenza di due testi storici: una lettera aperta a Miles Davis ed il saggio dal titolo “Cos’è un compositore di musica Jazz?”.

“Dell’anima non mi importa” di Giorgio Montefoschi- Recensione di Marcello Ciccaglioni

Giorgio Montefoschi è uno scrittore profilico dalla penna che scorre facile si sarebbe detto un tempo. Autore di oltre 20 libri, vincitore nel 1994 del Premio Strega con “La casa del padre” si può definire lo scrittore della Borghesia, in particolare di quella romana. Lo scrittore che più di ogni altro ne ha saputo osservare ed interpetare le caratteristiche, i limiti, le prerogative, i vizi e le virtù che ha avuto la capacità di riversare nei protagonisti dei suoi romanzi ma anche nei personaggi minori che compongono il mosaico delle diverse storie e vicende raccontate. Anche in questa sua ultima fatica editoriale dal titolo “Dell’anima non mi importa” pubblicata per i tipi della Nave di Teseo, Montefoschi fa viaggiare il lettore in quei luoghi ed in quelle atmosfere che rappresentano ed incarnano, meglio di tanti altri, l’anima del Borghese, con il Corriere della Sera in mano, ed in particolare di quel quartiere di Roma, i Parioli, che ne rappresentano il luogo per antomasia. La chiesa di San Roberto Bellarmino, via Michele Mercati, il Giardino Zoologico, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, l’Accademia di Santa Cecilia con la sua stagione di Concerti, la Sabaudia delle Ville di Busiri Vici come luogo di vacanze e di week-end. Da osservare come Carla, moglie di Enrico protagonisti entrambi del Romanzo, definiscano con raffinata eleganza sia lo Zoo che la Gnam con i loro nomi storici e non con quelli moderni di Fondazione Bioparco e Galleria Nazionale quasi a voler significare una consonanza con quei luoghi che solo chi li vive ed abita da decenni può permettersi. Un Romanzo piacevolissimo da leggere e ricco di profonde riflessioni su uno status sociale, un modo di essere e di vivere ed un mondo, quello della borghesia che sicuramente coinvolgerà il lettore.

“Il piccolo libraio di Archangelsk” di Georges Simenon – Recensione di Rocco Ruggiero

Consiglio “il piccolo libraio di Arkangels” perché in realtà consiglio vivamente Georges Simenon e cominciare a conoscerlo con questo dei suoi moltissimi romanzi ce ne fa cogliere appieno lo straordinario talento. Il grande narratore si riconosce dalla sua capacità di farti percepire la grandezza anche quando in apparenza non c’è o di farti vedere come l’amore spesso si nasconda in gesti piccoli piccoli che possono però travolgere una vita.Georges Simenon fa questo attraverso le vicende di un personaggio in apparenza così lontano da noi come il piccolo libraio Jonas Mink che noi guardiamo agire comprendendone le ragioni, arrivando a sentire il suo vissuto. Un vero narratore infatti non giudica mai i protagonisti delle storie che racconta e fa in modo che noi facciamo lo stesso. Non ha una tesi da dimostrare ma una storia da raccontare. Simenon è uno dei padri del noir, un genere letterario che, pur rientrando nel genere poliziesco, ne costituisce una declinazione dalle grandi potenzialità narrative: diversamente dal “giallo” l’attenzione si sposta dalla soluzione dell’enigma all’esplorazione di psicologie, stati d’animo atmosfere, ambienti. Georges Simenon anche in questo delicato e intenso romanzo riconduce il noir alla grande tradizione dei narratori europei: Schnitlzer, Zweig, Svevo. Non potrete secondo me non provare simpatia, nonostante tutto, per la bella Gina e non provare tenerezza per il piccolo libraio di Archangelsk.

“Il male oscuro” di Giuseppe Berto – Recensione di Mario Conti

Ho appena finito di leggere un bellissimo romanzo. E’ IL MALE OSCURO, di Giuseppe Berto. Lui, che era piaciuto a Hemingway, era invece osteggiato dalla cricca di intellettuali organici che dominava in Italia all’epoca della pubblicazione (1964); ma ugualmente vinse il Campiello e il Viareggio di quell’anno. Senza che vi allarmiate, è la storia - praticamente autobiografica - della nevrosi grave (il male oscuro) di uno scrittore che conta sulla gloria che gli verrà da un romanzo intrapreso con grandi aspettative. La forma è un flusso di coscienza con poca punteggiatura e lunghi capitoli; cosa che me ne aveva tenuto lontano per anni a dispetto delle perorazioni di Grazia - mia moglie - che, raggiunta l’ultima pagina sulla spiaggia, se ne andò a piangere da sola in riva al mare. Aveva ragione lei. La forma, intanto: vi dico che malgrado le premesse quella prosa è stupenda, tutta la punteggiatura mancante non fa che restituirci i moti e le associazioni dell’animo così come prendono forma nella nostra mente; il lessico apparentemente semplice e colloquiale ha incastonate espressioni raffinate, parole belle e desuete. Ma la sostanza: un viaggio dentro le insondate e inconfessate (ma da lui confessate senza inibizione) pulsioni che ci portiamo dentro per tutta la vita. Il rapporto col padre, insanabile quanto inestricabile. Poi intorno alla vicenda individuale scorre l’Italia del boom, la vita un po’ scioperata degli scrittori di Cinecittà, gli incontri maldestri, l’osservazione di una società ipocrita e arruffona. E, sembrerà strano ma non lo è, questa storia drammatica gronda momenti divertenti, autoironici, situazioni paradossali che fanno pensare alla migliore commedia italiana dei ’60-’70. Politicamente scorretto - Dio lo benedica - ma in realtà dotato di morale e compassione a non finire. Se non vi ho fatto passare ogni voglia, leggetelo anche voi.

“Alex” di Pier Lemaitre – Recensione di Grazia Brogi

Qualcuno potrebbe pensare ad un giallo, o meglio un noir, per l’estate, ma è molto di più. Intanto perché Alex è un personaggio veramente misterioso e straordinario che non potrete più dimenticare, poi perché la storia, così come la protagonista, è inafferrabile fino alla fine. I cambiamenti di prospettiva sono destabilizzanti e sono quelli necessari al dipanarsi della vicenda fino al gran finale che ovviamente non posso anticipare. Nulla degli accadimenti si può anticipare perché fin dalla prima pagina si viene catapultati in un mondo di malvagità apparentemente senza senso. Questo non faccia pensare a quelle storie o sceneggiature di film e serie tv - per inciso del libro sono stati acquistati i diritti per il mercato dell’audiovisivo - tanto di moda oggi, con continui andirivieni temporali e cambiamenti del punto di vista dell’osservatore che provocano il mal di testa nello sforzo di seguirne la trama. Niente di tutto questo, Alex è semplicemente suddiviso in tre parti che ribaltano completamente tutto quello che avevamo creduto di capire nelle precedenti. Le indagini sono seguite dal comandante di polizia Camille Verhoeven, personaggio acuto e non convenzionale, e non solo perché alto un metro e quarantacinque, dal tragico passato, protagonista - buona notizia per coloro che si appassioneranno a questo libro - di tre altri noir di Lemaitre. Il primo della serie è Irene, quando il commissario era ancora felicemente sposato e in attesa del primo figlio, segue Alex, poi Camille e Rosy & John. Lemaitre, nato nel 1951 a Parigi, ha ottenuto diversi importanti riconoscimenti letterari in Francia ed è tradotto in oltre venti lingue. Alex, forse il libro che più lo ha fatto conoscere all’estero, è uscito in Italia nel 2011 ma continua a far parlare di sé, ha uno stile asciutto, vivido, evocativo; e i personaggi sono “persone vere”.

“Papyrus L’infinito in un giunco” di Irene Vallejo – Recensione di Cristiano Scagliarini

“La grande avventura del libro nel mondo antico” recita così il sottotitolo del libro di Irene Vallejo, vero successo editoriale in Spagna, tradotto in più di trenta lingue. Alessandria e Roma sono le due grandi capitali dove si svolge e si sviluppa questa straordinaria storia del libro antico, delle sue differenti forme e tipologie, degli straordinari luoghi, le biblioteche, dove i volumina furono custoditi, dei tanti lettori, famosi o anonimi, che li possedettero come strumento di cultura, ma anche come simbolo di prestigio. “Leggere è ascoltare musica fatta parola” ci ricorda l’autrice. In questi periodi di forzata reclusione causata dalla pandemia, abbiamo riscoperto il valore del libro che lenisce l’ansia e alimenta la fantasia. Nel corso dei secoli, grazie ai libri è trascorsa la quotidianità del riposo come pure si è alimentata la vivacità culturale dell’otium; dentro i libri, poi, le utopie attendono giorni migliori, custodiscono le parole “di cui avremo bisogno per scrivere il domani”. Al rigore scientifico che le viene dalla sua professione di filologa classica, l’autrice sa unire una sorprendente capacità di scrittura che si esprime in un ritmo narrativo sempre ben calibrato: esaustiva e precisa come un saggio e al tempo stesso piacevole come un romanzo questa storia infinita del libro che ci viene proposta. La Vallejo ci offre un testo che si lascia leggere nel relax dei mesi estivi ed anche vivamente consigliato per tanti giovani liceali e universitari che si avvicinano con passione allo studio del mondo antico. Questo infatti è anche un libro di viaggio, con molte tappe lungo le rotte del mondo antico ove si ha modo di incontrare gli autori le cui opere sono state vergate sulle pagine di quei libri, in una avvincente carrellata che unisce con una trama invisibile ma ben solida i classici con il nostro mondo contemporaneo, perché – come ben sosteneva Italo Calvino – “un classico è un libro “ che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”.Letti e riletti: il richiamo a Calvino riporta alla memoria la storia di un lettore e di una lettrice che, a causa di un refuso di impaginazione, devono interrompere la lettura dell’ultimo libro dell’autore Se una notte d’inverno un viaggiatore. Volendo scoprire come prosegue la narrazione della storia, i lettori si imbatteranno negli incipit di altri dieci romanzi, mai terminati. Un libro sicuramente da leggere e da rileggere, con quella piacevole sensazione di scoperta che ogni opera di Calvino sa suscitare. Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Mondadori Oscar

“Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo” di Svetlana Aleksievic – Recensione di Francesco Serra Di Cassano

Svetlana Aleksievic, premio Nobel per la letteratura nel 2015, condensa in questo libro straordinario, l'essenza dello spirito che ha permeato la nascita e la storia dell'Unione Sovietica, le illusioni, i sogni e poi le grandi disillusioni di uomini e donne che hanno vissuto e creduto nel comunismo e che oggi hanno difficoltà a orientarsi in un mondo profondamente cambiato. Tempo di seconda mano è un'incredibile sinfonia di voci, di speranze, di sogni rimasti a galleggiare nella testa di uomini e donne che hanno vissuto le aspettative della rivoluzione, poi la tragedia dello stalinismo e, infine, le vicende che hanno condotto alla fine dell'URSS. Il dolore e le atrocità vissute (raccontate in modo asciutto e per questo ancor più drammatico dai protagonisti) non portano a rinnegare il proprio passato, al contrario, lo spaesamento è soprattutto nei confronti di un presente nel quale in tanti stentano a riconoscersi. È emblematica l'affermazione dell'ultra ottantenne Vasilij Petrovic, membro del Partito fin dal 1922: "Vivo da troppo tempo, non si dovrebbe... non è opportuno... anzi pericoloso. La mia epoca è finita prima della mia vita. Invece bisognerebbe morire e vivere nella propria epoca". In questo libro, che aiuta a orientarsi su quanto è accaduto in Russia in questi ultimi anni, l'autrice non contrappone vittima e carnefice: entrambi contribuiscono alla tragedia. È per questo che Aleksievic intitola la premessa Memorie di una complice, riportando la propria testimonianza per porsi lei stessa come una delle voci all'interno del coro. Le storie raccontate travolgono, feriscono, fanno male: è un'umanità che non si fa compatire, ma che ci sollecita a comprendere cosa furono quei sogni e quelle disillusioni.

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