Il libro è una sorta di ricamo eseguito con cronache, memorie e l’aggiunta di alcuni dei seguitissimi articoli scritti dall’Autore per il Messaggero. Le pagine fra annotazioni di incontri e viaggi, ricordi e riflessioni mai banali racchiudono la vita di Enrico Vanzina, e in controluce anche la nostra, nel periodo compreso fra il 2010 e il 2021.
Poco più di un decennio dunque, abbastanza per registrare dei cambiamenti sociali… anche quando non giungono a compimento, o per ribadire delle ferme convinzioni personali… anche quando vacillano.
Il racconto, pur senza ostentazione o supponenza, è colmo di riferimenti illustri attraverso i quali si tocca con mano lo spessore del mondo culturale italiano e internazionale in cui lo scrittore e sceneggiatore è da sempre immerso, anche se non è questo ciò che mi ha colpito.
Sono arrivata alla fine senza fretta, come si addice alla lettura di un diario. Non mi ha abbagliato la girandola di nomi, luoghi o eventi straordinari di cui egli è protagonista e che pure riporta sempre (sempre) con una quieta pacatezza per la quale è impossibile non provare simpatia. Ciò che mi ha più colpita è stata invece la sua determinazione nel guardare persone e fatti con nella luce migliore.
Vanzina finge? Racconta una versione edulcorata?
No, e la conferma di questa mia impressione si trova proprio fra le pagine di “Diario Diurno” dove mentre appunta annota e ricorda, al tempo stesso ammorbidisce e stempera tutto, o quasi, con sincera indulgenza. E questa, secondo me, è la più alta delle qualità. Prendendo spunto dalla leggenda Cherokee dei due lupi ((il nero e il bianco), Enrico Vanzina dà da mangiare al suo lupo bianco restituendoci un senso di pace non solo personale che è davvero un piccolo dono.
Recensione a cura di Nicoletta De Menna