SAI COSA HO LETTO?
“in tutto c’è stata bellezza”
di Manuel Vilas
La recensione di Simona Massenzi
Casa editrice
Guanda
Pagine
416
Prezzo
€ 19,00
La recensione
Intimo e struggente omaggio alla memoria famigliare, il romanzo di Vilas, dichiaratamente autobiografico, celebra con vibrante compassione lo smarrimento dell’Autore per tre lutti: la perdita del padre, della madre e della Spagna postfranchista di cui, a distanza di alcuni decenni, egli riconosce il valore epico, seppur disordinato ed iniquo.
Il percorso del narratore si sviluppa come una potente sinfonia che tocca le corde più delicate dei rapporti e delle relazioni umane e sociali. La musica, vera ossessione nella vita dell’Autore, come egli stesso ammette, risuona anche nella sua prosa. La scrittura è intensa ed asciutta, sempre melodiosa, da “narrador mutante”, così come viene definito Vilas in Spagna per la sua duplice veste di poeta e romanziere, ed esplode nei suoi personaggi che vengono associati per analogia a grandi compositori.
Il Padre è Bach, spudoratamente bello, sobriamente e naturalmente elegante, è stile puro e per questo lontanissimo rispetto all’Autore/Protagonista, scomposto, embrionale, insicuro e caotico. Bach, che alla fine dei suoi giorni sarà ancor più inafferrabile, perso nel mondo parallelo della tv, troverà nei lunghi ascolti condivisi dei programmi televisivi il mezzo ultimo per comunicare con il figlio. “Più che morire, ciò che fece mio padre fu perdersi, squagliarsela. Si trasformò in un Monte Perdido”.
La Madre, Wagner, è una primigenia forza della natura, una narratrice anarchica che non accetta il caos che essa stessa inconsapevolmente o involontariamente crea, imputando a forze ostili piccoli e grandi fallimenti della vita. È lei che nomina e dà colore alle cose ed ai fatti del mondo e non viceversa. “Mia madre metteva alle strette la logica della medicina, la conduceva all’abisso”. Wagner custodisce i segreti famigliari e la sua morte colpirà l’Autore prima che questi possa arrivare a conoscere le risposte ai molti interrogativi che, per pudore e timidezza, non ha posto nel corso degli anni.
La morte di Wagner e l’impossibilità di giungere ad un chiarimento, rendono il Protagonista impotente e lo conducono a cercare una nuova forma di amore, quello della memoria e della ricerca disperata ed appassionata della Bellezza. Lo stesso Vilas ammette: “Quando tu riesci a comprendere il tuo passato, quando tu riesci a comprenderne l’umanità, allora nasce la Bellezza, una bellezza morale e spirituale”. Questa è la chiave di lettura e la sfida, a mio parere, vinta dal romanzo: la compiuta restituzione della Bellezza alla vita trascorsa. Questo è ciò che mi ha commosso e confortato in Ordesa, la convinzione che siamo circondati da una Bellezza che troppo spesso negligiamo e che possiamo invece rendere centrale nella nostra vita.
La ricerca della Bellezza si sviluppa per Vilas attraverso un’eco lontana di suggestioni e ricordi ormai depurati dalla pesantezza del loro accadere che si trasformano in compiuta narrazione. Ecco il cambio di una gomma lungo una certa strada che conduce alle vacanze. Un paesaggio giallo come il rancore. Lo zio Monteverdi, “erratico e che stava nell’abisso”. Le foto di famiglia, “trovare le foto per saziarsi di memoria”. I piatti da lavare a mano ma anche gli elettrodomestici e le automobili che raccontano di una nuova Spagna, quella che lascia i greti dei fiumi e si riversa ai bordi delle piscine dei condomini di vacanza. I lunghi faticosi spostamenti di Bach, agente di commercio, “Mio padre mi portava a Huesca… e
diceva il mio nome con dolcezza”. Le narrazioni caotiche di Wagner, “nella mia famiglia non si è mai narrato con precisione… Aveva paura dei fatti”. Ordesa ed il Monte Perdido, i polli ruspanti di allora, il bagno condiviso con Bach, le liturgie natalizie. L’Autore riconosce, ascolta ed accoglie in sé tutte le note musicali che diffonderà nello spartito del romanzo, comprese quelle ancora dissonanti e ruvide dei vulnerabili rapporti con Bra e Valdi, i suoi giovani e critici figli.
Simona Massenzi
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