Al centro di questo intenso libro di riflessione filosofica sul presente, c’è una serrata critica alla mediatizzazione e spettacolarizzazione della vita da parte del potere e dei grandi mezzi di comunicazione, con la conseguenza di una realtà trasformata in merce mediatico-spettacolare.

In questo presente, segnato da laceranti contraddizioni e paradossi e dove l’amore è trasformato in ammirazione, dobbiamo essere capaci di “raccoglierci attorno agli abissi traumatici”, calandoci nei processi vitali senza restare abbagliati da quanto emerge in superficie, per rompere la corazza che irrigidisce la vita in schemi preconfezionati ad uso del potere e trovare la nostra “via di fuga” rispetto alle possibilità che ci sono assegnate, con un consapevole intervento attivo, sperimentale, riflessivo in grado di far saltare la giostra nella quale rischiamo di girare senza sosta.

Il funambolo, da questo punto di vista, è colui che cerca il vuoto, nel senso che svuota la realtà, allarga le sue maglie, apre delle parentesi, crea degli intervalli nella giungla insidiosa della quotidianità, dove tensioni costanti tendono a intrappolarci. La ragione funambolica affonda le radici nella cultura tragica, dove l’uomo appare come una sagoma incerta con le lacerazioni che lo attraversano. La filosofia, dunque, deve appoggiarsi a una razionalità pratica, uscire da confini prestabiliti, compiere una serie di incontri (e l’autore si mantiene in costante dialogo con personalità che hanno lavorato criticamente sulla realtà del loro tempo) per trasformarsi

in un sapere di frontiera.

L’invito è a trasformarci in “detective del desiderio”, capaci di “reinventare la musica del mondo, sui bordi della catastrofe”, realizzando “nuove mappe sinaptiche” grazie alle quali sia di nuovo possibile incontrarsi.

Recensione a cura di Francesco Serra Di Cassano